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Similitudini fra le crisi economiche del 1929-2008, versante finanziario

Versante finanziario
Il motivo che mi ha spinto ad una comparazione fra la Grande Depressione del 1929 e l’attuale crisi economica, risiede nel fatto che numerose caratteristiche le accomunano, nonostante le grandi trasformazioni che il mondo ha conosciuto negli ultimi ottant’anni.
In una prima analisi si possono elencare alcune evidenti similitudini riscontrabili nel settore finanziario; in primis, è riscontrabile lo stesso clima euforico, che si respirava negli ambienti finanziari nei periodi appena antecedenti le crisi: prima del crollo del 29’ la finanza Usa aveva conosciuto un forte boom, nell’immobiliare conclusosi nel 1925 e nella impressionante crescita dell’indice azionario di Wall Street, che nel tre settembre 1929, toccò il picco del Dow Jones di 381,1725.
Per quanto riguarda la situazione odierna invece, l’esuberanza del settore finanziario americano, ma anche mondiale, è evidente dal 1994, con una caduta nel 2001, ma sarà nel 2007, il nove settembre, quando il Dow Jones raggiungerà l’indice massimo di 14164,53, che si toccherà con mano l’apice americano.
Anche in questa crisi, la bolla immobiliare, finanziata e rifinanziata ampiamente, ha avuto conseguenze dirompenti: infatti, proprio come nel 1929, le autorità monetarie furono totalmente neutrali nei confronti delle valutazioni degli asset26, sia immobiliari che azionari, ponendo la loro attenzione esclusivamente all’inflazione dei prezzi al consumo.
Proprio come negli anni 20’ quindi abbiamo elevatissimi rialzi nei prezzi degli asset, accompagnati da un’inflazione contenuta, che ha comportato un fortissimo indebitamento delle famiglie statunitensi sia per l’acquisto di immobili, che sembravano essere alla portata di tutti, poiché con prezzi in continua crescita chiunque aveva la tentazione di indebitarsi scommettendo sui ricavi futuri frutto della vendita dell’immobile a prezzo maggiorato, ma anche per beni non durevoli quali i servizi essenziali come istruzione e sanità.
Altra importante similitudine, è una prorompente innovatività del settore finanziario, riscontrabile in entrambi i periodi; negli anni Venti furono inventati gli investment trusts e si conobbero grandi flussi speculativi, grazie al finanziamento degli acquisti in borsa con grandi capitali a margini temporali molto contenuti.
Gli intermediari finanziari erano molto aggressivi sul mercato, infatti, offrivano finanziamenti a basso costo anche per impieghi ad alto rischio, questo perché ad avviso di Rosselli27: “L’esperienza americana della banca mista, era stata, specialmente negli anni Venti, quella di un ordinamento bancario despecializzato quanto a durata del credito, a intermediazione in titoli di rendita e di partecipazione, a interessenza, in imprese non bancarie: le grandi banche costituivano veri e propri grandi magazzini della finanza”.
Stessa estensione del credito ed assunzione di rischi non gestibili, è riscontrabile nella finanza di inizio millennio, con operatori finanziari spinti alla competitività da un quadro di progressiva deregolamentazione, oltre all’esistenza di comparti operanti in assenza di controlli efficaci e di un enorme indebitamento del settore famiglie, come illustratoci da White28, nella sua analisi del debito delle famiglie americane fra il 1980 ed il 2005.
In questo studio è presentata una situazione dove il rapporto fra credito revolving e la mediana del reddito passò dal 3,2% al 13% mentre il debito ipotecario dal 57% al 156%, con la conseguenza di un annullamento della propensione al risparmio, e quindi l’imposizione al tesoro americano di una politica del tasso d’interesse il più basso possibile29, poiché ad ogni aumento dello stesso il reddito disponibile si sarebbe fortemente ridotto.
A ciò si aggiunga inoltre, il dramma delle sempre più frequenti bancarotte dei singoli, che negli Usa è passata dai 288000 casi del 1980, ai due milioni del 2005, per scendere ai 850912 fallimenti personali nel 200730.
Ulteriore somiglianza finanziaria fra il 1929 ed il 2008 è, sia il forte calo degli indici di borsa statunitense, -89,19% l’otto luglio del 1932, -42,28% il 27 agosto 2008, sia la loro grande volatilità, +14,87% il sei settembre 1931, +12,34% il 30 settembre del 1929, mentre il tredici ed il ventotto settembre 2008, vedono registrare impennate storiche, nel primo di +11,08% ossia il quinto rialzo maggiore nella storia borsistica americana, nel secondo del +10,88%, il sesto maggior rialzo.
Un ulteriore parallelismo storico-finanziario, potrebbe venire osservando il caso dell’Inghilterra degli anni Venti e degli Usa nel 2008, dove entrambi i paesi presentano un fortissimo disavanzo con l’estero.
La Gran Bretagna soprattutto con gli Usa, grazie a politiche deflazionistiche nel tentativo di mantenere un’egemonia finanziaria secolare31.
Gli Usa seguendo le orme britanniche, con il loro “impero a credito”32, dove, inserendosi nel solco del pensiero dell’ex presidente Reagan, citato da Dick Cheney: “Reagan ha provato che i deficit non contano”33, l’amministrazione Bush si è totalmente disinteressata dell’enorme debito pubblico americano (2676 miliardi di dollari a luglio 2008 per il debito estero, 400 miliardi di dollari di debito pubblico), soprattutto del debito estero (vd. Tabella seguente), a mio modesto avviso, per scacciare i segni di una recessione incombente già nei primi anni del millennio, dove l’economia americana era stata colpita dalla bolla speculativa di Internet passata alla storia con il nome di dot.com, ma anche per mantenere l’egemonia mondiale sui settori sia economici-finanziari sia in quelli militari.
La crescita economica infatti è stata alimentata dall’afflusso di risorse esterne come merci, capitali ed energia, a sostegno della domanda interna34, così da raggiungere il triplice scopo di avvantaggiare i consumatori esterni, limitare la pressione fiscale ed accollare ai creditori esteri una quota decisiva della spesa pubblica, con particolare riferimento ai bilanci del Pentagono.
L’interdipendenza fra Stati Uniti e Cina, con un mercato commerciale di oltre 300 miliardi di dollari nel quale i cinesi sono produttori di prima ed ultima istanza e gli americani i grandi consumatori, ha generato riserve per lo stato cinese di 1800 miliardi di dollari di cui 500 investiti in titoli del tesoro americano, diventa lampante con la nazionalizzazione, da parte dell’amministrazione ultraliberista Bush, di giganti del mutuo ipotecario come Fannie Mae e Freddie Mac, la cui gran parte dei titoli era in mano straniera, specie cinese. Bush arrivò ad assicurare telefonicamente Hu Jintao, così come i suoi diplomatici lo imitarono in tutto il mondo, e come ci fa notare l’ex segretario del Tesoro Usa Lawrence Summers35: “Le superpotenze normalmente non chiedono ai propri diplomatici di rassicurare altre nazioni su questioni di credibilità finanziaria”.

Principali detentori di titoli del debito estero Usa in miliardi di dollari, a luglio 2008.

( fonte: Us Department of Treausury / Fedral Reserve Board)

Giappone    593,4
Cina    518,7
Regno Unito    290,8
Paesi esportatori di petrolio*    173,9
Brasile    148,4
Centri bancari Caraibici**    133,5
Lussemburgo    75,8
Russia    74,1
Hong Kong    60,06
Svizzera    45,1
Taiwan    42,3
Norvegia    41,8
Germania    41,1
Messico    36
Corea del Sud    35,3
Turchia    32,4
Tailandia    31,8
Singapore    31,4
Canada    26,6

*Ecuador, Venezuela, Indonesia, Bahrein, Iran, Iraq, Kuwait, Oman Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Algeria, Gabon, Libia, Nigeria.
**Bahamas, Bermuda, Isole Cayman, Antille olandesi, Panamà

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